Falco di palude (Circus aeruginosus) - Nurra, Sardegna (Italy) - aprile 2017
Gennaio: Il posatoio è alto una cinquantina di centimetri. Sporge da una sponda coperta di alghe e fango. Poco più avanti un fitto muro di canne. Tutto intorno campi arati divisi da scacchiere di lentisco e rovi: il terreno di caccia del falco di palude. Abbiamo “binocolato” la zona da un punto di vantaggio, osservando gli spostamenti del falco, la sua caccia incessante ai margini della vegetazione, costantemente pronto a cogliere un topo, una lucertola o un biacco che, approfittando del primo sole esce allo scoperto, ancora ignaro del predatore alato. Il Falco di palude (Circus aeruginosus), rispetto agli altri rapaci di taglia simile, si esibisce spesso in un volo radente, a pochissimi metri dal suolo, “cucendo” il perimetro dei campi in un volteggio lento e ipnotico lungo i confini. Una caratteristica questa, che lo contraddistingue e lo rende inconfondibile anche in lontananza.
Febbraio: Il capanno è a prova di rapace, Limicoli e Ardeidi approdano tanto vicini da spruzzare qualche goccia d’acqua sulla lente frontale dei teleobiettivi. Solo il paraluce che spunta fuori da una feritoia tradisce la nostra presenza. Facciamo ormai parte dello specchio d’acqua e il nostro passaggio, molto prima dell’alba, rappresenta una minima perturbazione di quella quiete immobile. Passiamo insieme diverse giornate, accompagnati da un umido sfiancante, dalle zanzare con cui ormai condividiamo l’alloggio, dai topi che lo abbandonano al nostro arrivo e un “bel giorno” anche da un nido di vespe, che siamo costretti a sfrattare per evitare la loro offerta di agopuntura. Le attese sono infruttuose. Lo vediamo spesso. Attacca briga con le cornacchie, per poi ritornare alla sua caccia. Ma non scende. La radice di eucalipto su cui sosta occasionalmente per riposarsi e pulirsi le penne, emerge dall’acqua solitaria, in attesa del suo ospite più prestigioso. I dubbi si fanno strada, prontamente scacciati da Edoardo che mi ricorda “C’è poco da interpretare, bisogna avere pazienza.” Mi ostino a voler comprendere le scelte di un animale che in quanto libero, deve rendere conto solo a se stesso.
Febbraio: Il capanno è a prova di rapace, Limicoli e Ardeidi approdano tanto vicini da spruzzare qualche goccia d’acqua sulla lente frontale dei teleobiettivi. Solo il paraluce che spunta fuori da una feritoia tradisce la nostra presenza. Facciamo ormai parte dello specchio d’acqua e il nostro passaggio, molto prima dell’alba, rappresenta una minima perturbazione di quella quiete immobile. Passiamo insieme diverse giornate, accompagnati da un umido sfiancante, dalle zanzare con cui ormai condividiamo l’alloggio, dai topi che lo abbandonano al nostro arrivo e un “bel giorno” anche da un nido di vespe, che siamo costretti a sfrattare per evitare la loro offerta di agopuntura. Le attese sono infruttuose. Lo vediamo spesso. Attacca briga con le cornacchie, per poi ritornare alla sua caccia. Ma non scende. La radice di eucalipto su cui sosta occasionalmente per riposarsi e pulirsi le penne, emerge dall’acqua solitaria, in attesa del suo ospite più prestigioso. I dubbi si fanno strada, prontamente scacciati da Edoardo che mi ricorda “C’è poco da interpretare, bisogna avere pazienza.” Mi ostino a voler comprendere le scelte di un animale che in quanto libero, deve rendere conto solo a se stesso.
Aprile: Sto rientrando da un’escursione di due giorni in montagna, ho eliminato il traffico dati dallo smartphone per far durare di più la batteria, quando ricevo una telefonata di Edoardo. E’ euforico. Il falco sta utilizzando il posatoio. Si riposa. Sosta alle prime luci dell’alba. Torna nel pomeriggio. A fare la spia ci ha pensato la fototrappola, che vigila giorno e notte e ci fornisce informazioni importanti non solo sul falco di palude, ma su tutta l’avifauna che frequenta la zona. Ora, pensare di appostarsi, inizia ad avere più senso, ma fotografarlo non sarà facile. Iniziamo così un lavoro a turni, cercando di coprire quasi tutti i giorni della settimana, in modo da "essere lì" quando utilizzerà di nuovo il posatoio. Durante questo periodo, il capanno si allaga, una parte della struttura cede rendendolo utilizzabile solo da una persona per volta. Ci interroghiamo spesso su quale sia il limite tra passione fotografica e ossessione, ma stiamo ancora aspettando la risposta.
Seconda metà di aprile: sono in capanno, Edoardo sta al binocolo a qualche centinaio di metri da me. Siamo in costante contatto, mi informa sugli spostamenti dell'animale. “Fermo immobile! E' sopra il capanno!” “Puoi muoverti, è in fondo al canneto...” “Si sta avvicinando, le cornacchie lo stanno infastidendo...” Sento il rumore delle ali a pochi metri da me. Sento i pesci che saltano fuori dall'acqua, probabilmente spaventati dalla grande sagoma che perlustra la superficie. Così per un pomeriggio intero. Fino al tramonto, senza risultato.
Le giornate si alterneranno mettendo alla prova la nostra pazienza. Cambierà la stagione, e con essa cambierà l'esposizione al sole, che ci costringerà a scattare con luce molto dura o nel migliore dei casi, sperare nelle nuvole e nel loro “effetto diffusore”. Il risultato finale verrà raggiunto solo a fine mese: fotografare in modo dettagliato maschio e femmina adulti. Cinque mesi di lavoro concretizzati in pochissimi minuti di scatti. Un lavoro quasi impossibile da pensare in solitudine, che acquista un valore forse ancora maggiore proprio perché condiviso in ogni sua fase. Studio della specie, pianificazione dell'appostamento e una dose di pazienza insperata. Questi sono stati i punti cardine che ci hanno condotto fino allo scatto. E la soddisfazione impagabile di non avere mai arrecato disturbo all'animale. Fino ad ora, i falchi di palude, sono stati per noi i soggetti più impegnativi. Ci auguriamo di poter raccontare molte altre storie simile.
Seconda metà di aprile: sono in capanno, Edoardo sta al binocolo a qualche centinaio di metri da me. Siamo in costante contatto, mi informa sugli spostamenti dell'animale. “Fermo immobile! E' sopra il capanno!” “Puoi muoverti, è in fondo al canneto...” “Si sta avvicinando, le cornacchie lo stanno infastidendo...” Sento il rumore delle ali a pochi metri da me. Sento i pesci che saltano fuori dall'acqua, probabilmente spaventati dalla grande sagoma che perlustra la superficie. Così per un pomeriggio intero. Fino al tramonto, senza risultato.
Le giornate si alterneranno mettendo alla prova la nostra pazienza. Cambierà la stagione, e con essa cambierà l'esposizione al sole, che ci costringerà a scattare con luce molto dura o nel migliore dei casi, sperare nelle nuvole e nel loro “effetto diffusore”. Il risultato finale verrà raggiunto solo a fine mese: fotografare in modo dettagliato maschio e femmina adulti. Cinque mesi di lavoro concretizzati in pochissimi minuti di scatti. Un lavoro quasi impossibile da pensare in solitudine, che acquista un valore forse ancora maggiore proprio perché condiviso in ogni sua fase. Studio della specie, pianificazione dell'appostamento e una dose di pazienza insperata. Questi sono stati i punti cardine che ci hanno condotto fino allo scatto. E la soddisfazione impagabile di non avere mai arrecato disturbo all'animale. Fino ad ora, i falchi di palude, sono stati per noi i soggetti più impegnativi. Ci auguriamo di poter raccontare molte altre storie simile.